Nel maggio 2007, partendo dalla tesi di laurea di una mia allieva (Grazia Stella), dedicata al compositore Dimitri Nicolau collega, si stava lavorando alla stesura di quello che poi è risultato essere veramente un bel libro, “Dimitri Nicolau, una ricerca personale”, che andava a sistematizzare la sua notevole mole di scritti teorici spesso sotto forma di lettere personali, recensioni e interviste; i libretti, di cui lui stesso era autore, i disegni e il vastissimo catalogo. Considero questa pubblicazione molto importante non solo per gli addetti ai lavori, perché rende giustizia del suo isolamento (solo italiano) dovuto alla coerenza di una intelligenza piena di umanità che era la sua caratteristica peculiare.
Il nostro è stato anche un rapporto d’amicizia e di curiosità piena di riserbo.
La stima professionale reciproca veniva espressa nel continuo cimento alla elaborazione teorica e attraverso la proposizione di stimoli musicali, spesso sotto forma di nuovi lavori composti.
Spesso approfittando della primavera inoltrata e della sua bellissima terrazza, andavo a prendermi un caffè a casa sua.
Quella volta mi fece trovare un piccolo registratore sul tavolo vicino alle tazzine del caffè (rigorosamente alla turca, o al massimo alla napoletana), e mi disse a bruciapelo che sarei stato sottoposto ad una intervista…
Prima domanda: “Uno degli aspetti che mi sta più a cuore… è il rapporto tra compositore e interprete. L’identità di un interprete è indissolubilmente legata alla preesistenza della musica che sta per realizzare… è legata ad una “immagine” che precede l’atto della realizzazione. Ora, cogliendo l’opportunità della tua presenza e basandomi sulle nostre lunghe “chiaccherate” musicali ripetute nel tempo, ti pongo una questione: per te interprete, quali sono le esigenze nei confronti dell’autore? Quali sono i punti nodali per realizzare, nella necessaria correlazione compositore-interprete, la tua identità…?
Cos’è, in definitiva, che l’interprete esige dall’autore?”
La sensazione di inadeguatezza e di sconcerto era forte, in fondo ero andato solo a prendermi un caffè.
Così mormorai: “Che sappia scrivere bene e immediatamente dopo l’onestà intellettuale accompagnata da quella umana, due caratteristiche che non sempre stanno insieme…nella prassi concreta del lavoro quotidiano, la differenza sostanziale sta nella sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di sconosciuto o meno…”.
…”Quando invece mi trovo di fronte ad un andamento sconosciuto ella scrittura…, cambia tutto; ciò che si avverte è una sensazione di crisi profonda..in cui c’è questo…vogliamo chiamarlo tormento?…il tormento è nel rapporto! Si avverte un movimento…al di sotto e oltre la scrittura…l’insoddisfazione t’invita a cercare ancora, a consolidare. ma la ricerca non si limita al solo brano, si spinge anche in colui che esegue e che percepisce una propria condizione di fantasia ‘in debito’ rispetto al movimento della frase… Penso alla parola ‘sconosciuto’ in quanto riferita ad una identità non prevedibile, unica ed originale.”
Assumersi al responsabilità di avvicinarsi ad un brano e di cimentarsi nella sua esecuzione, provoca naturalmente un’incertezza. Tuttavia ciò offre anche la possibilità di una evoluzione personale….
Dimitri
… dunque prima viene la musica e poi l’interprete. L’interprete realizza il suo rapporto con quello che già c’è; il compositore, invece, non lo potrà mai realizzare prima perché l’interprete ancora non c’è. Sembrerebbe una disparità.
Il compositore avrebbe una immagine ideale dell’interprete?
Pier Paolo
Penso proprio di si… è come una dichiarazione d’amore per una donna che ancora non si è conosciuta. Ma questa immagine ideale che il compositore avrebbe dell’interprete è una incertezza-speranza, o una certezza “paranoica” dell’essere compositori?… Immagine ideale di interprete come speranza, o come pretesa?
Nel tuo caso direi pretesa assoluta nei miei confronti. Per l’interprete non so se questa immagine ideale esista. L’interprete scopre l’immagine del compositore strada facendo…deve farsi la sua immagine, il suo rapporto.
Forse il compositore sa già di avere una immagine ideale di interprete, mentre l’interprete no. Finché non la scopre perché nessuno te la insegna. Devi scoprirla tu in funzione del tuo rapporto con le cose umane del mondo, dalla tua vita personale…